[…] Sono tornato nella stanza consolandomi con il pensiero che quel tipo di felicità, forse, è ormai parte del suo mondo. È soltanto lui ad aprire quella porta quando meglio crede. Vive la gioia nella sofferenza e nei momenti in cui riconosce la realtà sa bene che deve goderseli perché non torneranno più. Tutto prima o poi andrà via come i petali di una rosa strappati dalla tempesta.
A volte penso di essere egoista, convinto che questa malattia stia facendo male più a me che a lui. Trattengo la rabbia quando lo vedo estraniarsi, balbettare, perdersi in luoghi che conosce, ricordare persone che non ci sono più. Tutto questo mi distrugge. Trovo conforto soltanto quando lo abbraccio e restiamo in silenzio. Lo sento vivo ed è questa la cosa più importante. Non voglio perderlo. È mio padre.
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Niente è perduto per sempre
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