A Vigàta, a ogni cambio di stagione, giunge con la sua mercanzia Ciccino Firrera, detto «Beccheggio». «Beddre signure e beddre signurine! Ciccino arrivò! Arrivò Ciccino! L’esposizioni è aperta dalle quattro alle setti di doppopranzo presso l’albergo Moderno fino a mercordì. Viniti! Viniti a vidiri i meravigliosi, novissimi abiti di Stella Del Pizzo per la stascione che arriva!».
La promessa di Beccheggio è un abito alla moda di una famosa sartoria palermitana, ritoccato su misura, se necessario, da lui stesso, sarto bravissimo. Casa per casa, signora per signora, nubile o maritata. Perché di lui mariti, padri e fidanzati si fidano ciecamente: è troppo brutto, basso, peloso, un occhio a Cristo e l’altro a San Giovanni, le gambe arcuate, il passo claudicante, le movenze di una nave che oscilla sull’orlo del naufragio.
Ma all’improvviso tra le donne del paese sboccia una voce e un respiro, un sospiro e una diceria.
Ciccino ha altre doti, è dolce, carnale, animalesco, sensibile, tutto un opposto e una contraddizione, tutto una sorpresa, un fremito, un piacere: uno sconvolgimento. Tra le signore di Vigàta si agitano confidenze e ammiccamenti, ma qualcuna si sente esclusa, come nelle peggiori delle congiure. Come può essere che solo a una, tra le brutte e le belle, Beccheggio non si sia rivelato…?
COMPATTA